L‘Extracorporeal Cardiac Life Support rappresenta una delle applicazioni dell’ormai sempre più diffusa metodica ECMO (Extracorporeal Membrane Oxygenation), resa famosa anche ai non sanitari per l’estesa visibilità che i media le hanno riservato durante le recenti pandemie da virus AH1N1.
Grazie all’ECMO, infatti, è possibile sostituire per lungo tempo (anche per decine di giorni), la funzione di cuore e polmoni, a seconda delle necessità cliniche. Per utilizzare l’ECMO con la finalità di mantenere una pressione sanguigna sufficiente a irrorare il cervello e gli altri organi del corpo, i sanitari incannulano una grossa arteria (solitamente l’arteria femorale) e la vena controlaterale.
Il sangue viene quindi pompato artificialmente e fatto passare attraverso una membrana a sua volta perfusa da ossigeno, con conseguente rimozione dell’anidride carbonica ed ossigenazione dello stesso. Grazie alla pressione realizzata dalla pompa, il sangue ossigenato raggiunge il cervello e gli altri organi, assicurando il corretto rifornimento di ossigeno e sostanze nutrienti.
Per quanto salvavita, la metodica non è tuttavia scevra da rischi ed importanti effetti collaterali. Non esistono però alla data attuale, linee guida elaborate da esperti nel settore che sostengano l’utilizzo routinario di questa tecnica in corso di arresto cardiocircolatorio, benché i risultati di alcuni importanti centri sembrino confermare l’efficacia del trattamento.
Proprio in questi giorni, la morte del calciatore Piermario Morosini riporta prepotentemente alla ribalta il tema di una corretta rianimazione cardiopolmonare in contesti particolari, come ad esempio durante la pratica sportiva. Proprio in queste situazioni, infatti, molti sanitari hanno evidenziato come difficilmente gli atleti colpiti da arresto cardiaco stentino a rispondere positivamente alle tradizionali manovre rianimatorie.
Al di là del perché atleti giovani, sani e sottoposti ad accurati controlli medici vadano in contro a morte cardiaca improvvisa, va rilevata la particolare condizione che caratterizza l’atleta in arresto cardiocircolatorio dopo o durante intensa attività fisica: si tratta infatti di un organismo che ha dato fondo alle proprie riserve fino a pochi istanti prima dell’accidente, e che affronta la completa mancanza di ossigeno ad organi e tessuti senza più energia.
Questo sembrerebbe spiegare, si ripete, al di là della causa dell’arresto cardiaco, il perché tali pazienti rispondono in maniera insoddisfacente alle manovre rianimatorie tradizionali. La corretta applicazione delle manovre rianimatorie di base, note anche come Basic Life Support & Defibrillation (BLS-D), rappresentano il cardine fondamentale ed irrinunciabile per iniziare il trattamento dell’arresto cardiaco, seguite tempestivamente dall’esecuzione di manovre di supporto vitale avanzato meglio note come Advanced Life Support (ALS), svolte da personale medico ed infermieristico.
Nei casi più complessi e quando il trattamento standard fallisce, il precoce ricorso all’Extracorporeal Cardiac Life Support (ECLS) può rappresentare una ulteriore chance terapeutica. Sulla revisione delle letteratura e sulla base dell’esperienza ad oggi maturata da Busnago Soccorso Onlus nella gestione di grandi eventi, abbiamo deciso di coinvolgere l’Ospedale San Raffaele di Milano (coordinata dal Prof. Alberto Zangrillo e dal Prof. Federico Pappalardo) così da disporre di apparecchiature e personale necessari all’istituzione della terapia sul territorio.